Il main event di Double or Nothing ha regalato alla All Elite Wrestling un nuovo campione mondiale e il suo nome è CM Punk.
Il nativo di Chicago è tornato nel Pro-Wrestling per ritrovare il sorriso, così nove mesi dopo il suo debutto in AEW ha portato a termine il suo “unfinished business” cominciato oltre dieci anni fa in WWE. Dopo l’addio alla federazione di Stamford, CM Punk nel lontano maggio del 2014 aveva risposto con un solare “mi sento bene” alla domanda su come ci si sentisse ad essersi ritirato a soli 35 anni.
29 maggio 2022. Con il marchio di fabbrica che ha contraddistinto gran parte della sua carriera da pro-wrestler – la GTS o Go To Sleep (in forma estesa) – CM Punk ha regolato ‘Hangman’ Adam Page laureandosi AEW World Champion. Oggi la promotion di proprietà della famiglia Khan ha un nuovo volto: dopo l’abbandono di Cody Rhodes e la temporanea uscita di scena di Kenny Omega (a causa di un infortunio) spetta al Second City Saint il ruolo di ‘The Big Ticket’, ma a pochi giorni dalla sua vittoria ci si domanda già chi sarà il suo erede.
CM Punk vs AEW Four Pillars
Fin dall’approdo di CM Punk in AEW era chiaro a tutti che prima o poi lo avremo visto portare in vita la cintura di campione mondiale. Una figura carismatica e polarizzante come quella dello Straight Edge richiede una posizione di massimo prestigio all’interno di una federazione che, sebbene stia proponendo un prodotto differente da quello “rivale”, necessita di un volto conosciuto per vendere i biglietti e generare interesse. La formula “usato sicuro” della All Elite Wrestling ha funzionato alla grande fin ora: Chris Jericho come primo campione per lanciare la compagnia, Jon Moxley come storia di redenzione e Kenny Omega per dare al pubblico un campione homemade, ma con un passato eccellente in territorio nipponico; quando Tony Khan ha voluto puntare sul talento di casa – Adam Page – abbandonando l’idea di consegnare il titolo ad un volto noto, la critica dei fan e dei detrattori è stata piuttosto aspra. Questo ha probabilmente convinto il capo a fare un passo indietro rispetto ai ‘Four Pillars‘, ritornando all’idea originale di avere come uomo di punta una figura conosciuta da tutti gli appassionati e cavalcare l’onda chiamata CM Punk avrebbe decisamente accontentato entrambe le parti.
Profondità, varietà, gioventù ed esperienza, questi sono i quattro pilastri su cui si fonda la filosofia della AEW, la quale ha sempre accostato a queste virtù i nomi di quattro talenti fatti in casa che corrispondono ai nomi di Darby Allin, Jungle Boy, MJF e Sammy Guevara. Tutti possiedono le prime tre caratteristiche, ma nessuno di loro può lontanamente avere l’esperienza di CM Punk o di altri nomi arrivati con il tempo nella federazione di Jacksonville ed un campione deve assolutamente possederla per portare sulle proprie spalle il peso di una compagnia che punta ad essere – come dice il nome – nell’élite del Pro-Wrestling. Quei quattro ragazzi però non è un caso che siano padroni a loro modo della scena nella All Elite Wrestling, così come non è un caso che due di loro (Allin ed MJF) abbiano già affrontato CM Punk da quando ha debuttato ed in futuro ci sarà modo per gli altri (Jungle Boy e Guevara) di confrontarsi sul quadrato con il nativo di Chicago per acquisire esperienza.
La giusta direzione
Quando nell’ormai lontano 2011 CM Punk divenne il volto della WWE, era chiaro il fatto che fossimo di fronte a qualcuno di davvero speciale. Il suo modo di lottare, la capacità di parlare con un microfono in mano, il culto della personalità di cui parla anche la sua entrance theme e un volto pulito, ma pieno di “rabbia” erano i motivi per cui CM Punk era la scelta giusta. A distanza di oltre dieci anni e una federazione dopo, il Second City Saint rimane LA scelta per portare avanti un progetto ambizioso ed aiutare le nuove leve a confrontarsi con – e citiamo testualmente – il migliore al mondo. Subito dopo aver visto CM Punk colpire Adam Page con la GTS e diventare campione mondiale, il pubblico di qualsiasi fede ha cominciato a schierarsi: alcuni contro la scelta di dare la cintura ad un wrestler non costruito in casa; altri a favore di vedere finalmente il ragazzo dell’Illinois camminare sulla rampa portando il massimo alloro in spalla. In entrambi i casi la discussione è viva e accesa, perciò la scelta di Tony Khan è al momento la più azzeccata: non importa come, purché se ne parli.
CM Punk è stato sulla bocca di tutti nei mesi antecedenti il suo debutto in AEW e la reazione al risuonare di ‘Cult of Personality’ dei Living Colour dentro lo United Center non ha avuto eguali, nemmeno quando ad All Out ci furono a sorpresa gli ingressi prima di Adam Cole e dopo di Bryan Danielson. Un anno dopo il pubblico seduto sugli spalti di ogni singolo palazzetto intona i cori pro CM Punk e canta a squarciagola la canzone con cui fa il suo ingresso; il suo ritorno sul ring ha portato coloro che avevano abbandonato il Pro-Wrestling nel 2014 ad appassionarsi ancora una volta alla disciplina, provando quella sensazione sulla pelle che pensavano di aver vissuto esclusivamente per via del prodotto e non della persona. In un periodo post-pandemia in cui chi acquista il biglietto per uno show ha il solo desiderio di ritornare a vedere i propri idoli lottare, la figura di CM Punk è la sola in grado di catalizzare tutta l’attenzione su di sé, nel bene e nel male, trasformando una semplice passione in un argomento di cui parlare su base quotidiana.
Who’s next?
Chi sarà il prossimo? Certo questa è la domanda più lecita per chi non vuole solo vivere il momento e ha già la mente proiettata verso il futuro. CM Punk è decisamente ciò di cui la All Elite Wrestling ha bisogno all’attualità dei fatti, ma non quello su cui deve puntare per rendere il prodotto interessante. In qualità di Big Ticket della federazione, il nativo di Chicago dovrà convincere anche gli scettici ad avvicinarsi alla compagnia dimostrando che un vero appassionato può seguire qualsiasi sorta di promotion senza farne distinzione tra migliore o peggiore. Allo stesso tempo CM Punk non può essere chiamato campione di transizione, semmai lo spartiacque tra un prima e un dopo in quel di Jacksonville: tutti dovranno imparare ad apprezzare il performer fatto in casa senza pretendere ciclicamente la presenza del veterano in grado di raddrizzare il tiro; se il regno di Adam Page per molti è stato ritenuto anonimo, gli spettatori non potranno pensare per sempre che il volto nuovo sia sinonimo di poco accattivante. CM Punk in questo è decisamente la persona giusta, poiché capace di farsi apprezzare in prima battuta e facendosi detestare successivamente, regalando così le luci dei riflettori al suo erede portando il pubblico a sperare nella sua caduta.
Con l’avvicinarsi del Pay-Per-View congiunto tra AEW ed NJPW chiamato Forbidden Door, la prima minaccia sul cammino da campione di CM Punk è già stata rivelata e risponde al nome di Hiroshi Tanahashi. Sebbene la sfida sia di interesse globale, difficilmente il wrestler nipponico riuscirà a soffiare la cintura dalla vita del ‘Best In The World’, ma sarà il primo banco di prova per il nuovo campione e per gli spettatori, questi i più interessati agli sviluppi intorno al titolo mondiale. L’erede di CM Punk uscirà decisamente dalle mura di Jacksonville non prima del momento propizio: Adam Page vorrà sfruttare la sua rivincita; il ritorno di Miro ha aperto a suggestioni interessanti visto il ‘pop’ ricevuto nell’ultimo episodio di Dynamite; Adam Cole – vincitore dell’Owen Hart Tournament – vorrà misurarsi così come fatto a Revolution. La lista di nomi è lunga e comprende anche il lungo degente Kenny Omega o un altro ex campione come Jon Moxley, così come Bryan Danielson per dare vita ad un dream match o Wardlow, fresco di firma del suo primo contratto con la All Elite Wrestling. Nessuno di loro però sembra poter chiudere il cerchio come MJF, in una ideale ‘Summer of MJF’ che avrebbe la sua degna conclusione il 4 settembre 2022 ad un anno dal debutto in pay-per-view di CM Punk, con la consacrazione di uno dei ‘Four pillars’.
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