CM Punk ed il suo lascito che lo marchiò a fuoco nella storia del Pro Wrestling:
Ci sono uomini, e uomini che fanno la rivoluzione. I secondi, per ovvie ragioni, si contano
sulle dita di una mano. Cosa succede, però, quando sulle dita di una mano leggiamo la
parola “Drug” e sulle dita dell’altra mano leggiamo “Free“? Si crea un mito. Si genera
qualcosa che va oltre le parole e il tempo, un evento di dieci anni fa ma ancora oggi attuale
come fosse successo ieri.
Ci sono uomini, uomini che fanno la rivoluzione, e poi c’è CM
Punk
CM Punk è sempre stato uno dei miei wrestler preferiti, ma non tanto per lo stile di lotta,
quanto invece per cosa idealizzava. CM Punk va per sua stessa natura oltre ogni limite, non
ha mai dato l’impressione di volersi omologare. Fin da quando era ragazzo, e ha deciso di
diventare uno straight edge per non fare la fine del padre alcolizzato – arrivando a tatuarsi il
logo di Pepsi sul braccio al posto delle marche di alcolici che si tatuavano i suoi amici -, fino
al debutto in ring, partendo dalla polvere per arrivare a un passo dal paradiso, quel main
event di WrestleMania diventato un ossessione per lui. Far parlare di sé non è mai stata
un’opzione per il wrestler di Chicago: la sua integrità morale era tutto ciò che gli interessava.
Sin dai tempi della Ring of Honor, CM Punk ha rappresentato un modello di riferimento per i
fan del wrestling indipendente. Con la proverbiale combinazione di lacrime, sudore e
sangue, Punk ha raggiunto ogni suo obiettivo. Si è fatto un nome nel panorama indy,
diventandone uno dei nomi più caldi; ha raggiunto la WWE, la sua grande occasione, e
partendo anche qui dal basso (dalla rinata ECW), è riuscito a scalare le gerarchie e in pochi
anni a diventare bi-campione del mondo dei pesi massimi, dopo aver vinto e incassato con
successo per due volte la valigetta del Money in the Bank. Sappiamo tutti quanto sia difficile
lasciare il segno in WWE, ma non lo è mai quanto essere campioni del mondo. Due volte,
per giunta.
Ma a CM Punk questo non bastava
Il mondo è sempre stato troppo duro con lui, e ora che
poteva riprendersi ciò di cui aveva diritto con gli interessi, la WWE lo relegava a
SmackDown, la cui fama da B-Show lo precedeva. Campione del mondo sì, ma la Big Gold
Belt non era il primo titolo per importanza in federazione da un pezzo. Forse, non lo è mai
stato. Quindi cambiare era l’unica via percorribile. Cambiare, ancora, ma rimanendo fedeli al
proprio credo. Forse anche troppo fedeli, forse fino al punto da farsi inghiottire, dal proprio
credo. Così è caduta la goccia che ha fatto traboccare il vaso e ha dato origine alla Pipe
Bomb.
Quando si parla di Pipe Bomb, si percepisce che il clima della discussione impone un forte
rispetto. D’altronde, non ci sono tanti promo che a distanza di così tanti anni continuano a far
discutere in questo modo, al punto da interrogarsi se fosse quello un segmento concordato o
shoot. La Pipe Bomb, però, ha quasi un dovere verso il pubblico: continuare a riecheggiare
nell’epica della narrazione wrestlinghiana.
Immaginatevi un wrestler il cui contratto con la più popolare federazione di wrestling al
mondo sta per volgere al termine distrarre il campione WWE, John Cena, in un Tables Match
contro R-Truth a RAW, poi prendere un microfono, raggiungere lo stage, accomodarsi al
suolo e iniziare uno speech di sei minuti carico di verità impronunciabili, rancore e odio. CM
Punk non ha mai avuto molto da perdere, ma con la Pipe Bomb ci ha ricordato quanto gli
uomini che non hanno proprio nulla da perdere, sono anche quelli più pericolosi.
In quel preciso momento del 27 giugno 2011, il mito del CM Punk “politically incorrect”,
senza peli sulla lingua e desideroso di un riscatto su più livelli, ha raggiunto il suo apice. È
nato The Voice of the Voiceless, il nuovo idolo di una faccia più matura – ma anche fanatica –
del WWE Universe, quella dei cori “Cena Sucks”, delle rivolte su Internet e di “Cult of
Personality”, immediatamente riconosciuta come una delle theme song più iconiche di
sempre. Soprattutto, è l’inizio della Summer of Punk, un periodo memorabile per i tifosi del
wrestler di Chicago e in qualche modo anche per quest’ultimo, nonostante l’immediata
perdita del titolo WWE a SummerSlam, giusto pochi minuti dopo essersi confermato
Undisputed Champion, contro Alberto Del Rio, fresco Mr. Money in the Bank, e la faida con
Triple H e Kevin Nash, da cui è uscito sconfitto. Poco importa, ci sarebbe da dire: CM Punk
ci ha abituato a risorgere dalle proprie ceneri, a partire sempre da zero per arrivare a mille.
Ancora una volta, è quello che ha fatto. Di fatto, non gli era bastato scioccare il mondo
battendo John Cena a Money in the Bank il 17 luglio e portando via con sé la cintura WWE:
ha fatto di più. Ha atteso la sua rivincita, se l’è presa con la forza, e a Survivor Series, il 20
novembre 2011 ha dato vita al suo leggendario regno di campione WWE di
quattrocentotrentaquattro giorni.
L’articolo potrebbe anche finire qui, se non fosse che sarebbe ingiusto non raccontare il
lascito di quel promo.
Chiedete a un ragazzino della Pipe Bomb e ve ne parlerà con occhi
sognanti. Chiedetelo a un ragazzo di trent’anni, e ve ne parlerà con orgoglio e tanta
nostalgia. Quello che ha fatto la Pipe Bomb quella sera, vale quanto intere carriere di
wrestler passati su quel ring. Non solo la Pipe Bomb ha rinvigorito CM Punk, che da qualche
mese gravitava attorno al midcarding ed era il leader di una stable evanescente e poco
credibile come il New Nexus, ma ha anche dato nuova linfa alla federazione, facendo
crescere i ratings e aumentando vertiginosamente l’attenzione sul prodotto.
La Pipe Bomb ha rappresentato un vero e proprio spartiacque, se ci pensate. La WWE ha
sempre cercato di costruirsi in casa i propri talenti, tramite le sue federazioni satellite come
la OVW o la FCW. Non è un caso, allora, che proprio da quel 27 giugno 2011 gli occhi del
recruitment staff della compagnia di Stamford abbiano iniziato a guardare con maggiore
interesse al panorama indipendente. D’altronde, è da lì che è emerso CM Punk. Negli anni a
seguire, di fatto, NXT, l’allora neonato territorio di sviluppo della WWE, diventerà una realtà
sempre più solida, e la federazione inizierà a cannibalizzare le promotion indipendenti,
assumendo decine e decine di wrestler più o meno talentuosi, spesso raggiungendo risultati
fallimentari.
In contemporanea, il panorama indy del wrestling ha conosciuto una popolarità quasi
inattesa, diventando sempre più accessibile grazie a Internet e soprattutto grazie a una
proposta di wrestling alternativa, fresca, più allettante, che premiava il talento piuttosto che
la bella presenza. Forse, così facendo, la WWE ha “alimentato la concorrenza”, potrebbe
dire qualcuno. Tuttavia, il risultato di questa “guerra fredda” venutasi a creare tra Stamford e
gli altri poli del wrestling nordamericano (e non solo) è ancora incerto, e sebbene la WWE
continua a essere un pescecane in un oceano di pochi grandi pesci e tante sardine, non è
certo detto che un domani la situazione non possa ribaltarsi. Sarebbe surreale.
Chi di certo ha beneficiato della Pipe Bomb, invece, è ovviamente CM Punk, che da quel
giorno ha continuato a vivere in eterno su quel promo. La potenza emblematica della Pipe
Bomb è tutta qui: se a dieci anni di distanza ci sono ancora persone che sperano e
attendono in un ritorno del wrestler dell’Illinois in WWE (magari come numero 30 nel Royal
Rumble Match, visto che ogni anno, puntualmente, spuntano rumor a riguardo) nonostante
la sua parentesi in UFC e l’inesorabile passare degli anni, che ricordano con nostalgia
“quanto fosse forte” l’ex campione WWE, spesso sfociando nella becera retorica, vuol dire
che la sera del 27 giugno 2011, in chiusura di Monday Night RAW, si è fatto davvero
qualcosa che sfiora l’irripetibile.
La sensazione è che se la Pipe Bomb non ci fosse mai stata, in parallelo CM Punk avrebbe
veramente cambiato aria durante quell’estate
Conosciamo la sua forte amicizia con Colt
Cabana e con altri addetti ai lavori in Ring of Honor e non solo, ed è risaputo anche di come
il rapporto con la dirigenza della compagnia non sia mai stato idilliaco (tanto da portare a una
brusca rottura nel 2014). Senza la Pipe Bomb, l’icona CM Punk non sarebbe mai emersa, e
forse anche il mondo del wrestling sarebbe diverso. Anche qui, tutto è ipotetico e relativo.
Ma se un promo di sei minuti è riuscito a scuotere a tal punto la carriera di un wrestler e tutto
ciò che lo circondava, non è banale pensare che il terremoto generato dalla Pipe Bomb,
senza quest’ultima, non si sarebbe mai scatenato.
In chiusura, quello che la Pipe Bomb ci ha lasciato è una grande lezione. La morale di quel
promo è chiara: se pensi di valere qualcosa, devi sempre dimostrarlo. La furia di CM Punk
era motivata proprio da ciò, ossia aver sempre dimostrato di essere il Best in the World,
senza mai ricevere il giusto trattamento, che poi è anche la stessa causa della sua fine. Ma,
ovviamente, c’è dell’altro, perché deve necessariamente esserci dell’altro, se dieci anni dopo
siamo ancora affascinati da quel segmento.
La dura chiave di lettura nascosta della Pipe Bomb è che il rancore e la sete di potere e di
successo sono i motori che tengono accesa questa società, non le buone maniere o i
progetti contro il bullismo, come detto anche dallo stesso Punk. Ma è importante trovare il
giusto equilibrio, perché il rischio di finire in rovina (leggasi “farsi umiliare in UFC”) è sempre
dietro l’angolo. Chissà se, con una mentalità differente, meno sfacciata, CM Punk avrebbe
avuto lo stesso magnetismo. Di contro, probabilmente avrebbe raggiunto il main event di
WrestleMania. Ma pure in questo caso queste sono chiacchiere, ipotesi, aria fritta. Ciò che ci
rimane di concreto e di reale dieci anni dopo quel promo, è proprio il promo, una
celebrazione delle abilità da oratore del ragazzo di Chicago, una rappresentazione di come,
in WWE, basti anche solo un microfono per fare la storia
Articolo a cura di Francesco Iazzi