Un tempo lo US Title e il Intercontinental Title erano i più ambiti tra chi non possedeva lo star power per lottare nel main event.
Oggi sono ai margini della federazione relegati a sporadici camei nel grande universo della WWE; hanno perso il loro appeal, così tra regni anonimi e continui passaggi di consegna siamo arrivati dinanzi ad un dilemma: è ancora importante mettere in palio i titoli secondari?
Come all’interno di un film, la trama ruota intorno alla storia principale con protagonisti ed antagonisti ben definiti; il contorno – rappresentato dalle scene secondarie – è solo un piccolo break tra un colpo di scena e l’altro. Il tempo avanza come le stagioni di una serie TV, gli spettatori vogliono solo arrivare ai titoli di coda per potersi immergere in un nuovo racconto e nel frattempo le comparse si defilano lasciando spazio al nuovo corso.
US Title: una ‘corsa’ durata 25 anni
La mezzanotte del nuovo anno è scoccata e la NWA non vede l’ora di portare in scena il suo spettacolo meno di ventiquattro ore dopo. Gli Stati Uniti stanno per concludere la guerra in Vietnam, una disfatta con pochi eguali nella storia della nazione soprattutto per quanto riguarda i postumi arrivati da una battaglia ventennale senza il minimo senso logico. Il paese a stelle e strisce però è in grado da sempre di distrarre la massa, così una federazione nota come National Wrestling Alliance mette in piedi un house show per il primo giorno di gennaio del 1975, in cui verrà assegnato lo US Title (al secolo NWA United States Heavyweight Champion). Ad affrontarsi nella finale del torneo per l’assegnazione della corona sono Harley Race e Johnny Weaver: l’arena di Tallahassee in Florida è pronta ad accogliere colui che deterrà la cintura e rappresenterà l’eroe del paese; Race schiena Weaver conquistando lo US Title, ma ancora oggi – non essendoci testimonianze concrete degli show a telecamere spente della NWA – aleggia un grande mistero attorno alla nascita di questo alloro.
Prima di avere una vera prova sull’esistenza di questo fantomatico US Title – nel frattempo passato di mano in mano coinvolgendo grandi leggende della futura WWF – passano dieci lunghi anni, quando Magnum T.A. nel primo pay-per-view della Jim Crockett Promotions (Starrcade) sconfigge Tully Blanchard in un “I Quit” Steel Cage Match; successivamente si arriva all’ascesa di Lex Luger (detentore per ben 4 volte della cintura entrando negli anni ’90) e alla comparsa della WCW come federazione in grado di far risaltare le qualità dello US Title.
Nel decennio successivo che ne sancisce poi la scomparsa temporanea dovuta all’acquisizione della WCW da parte di Vince McMahon, lo US Title non riesce mai ad avere un ruolo centrale nel corso della sua storia: viene detenuto da wrestler di importanza mondiale come Ric Flair, Ricky Steamboat, Sting e altri volti storici della federazione, ma sembra portare con sé una maledizione che lo costringe ad essere reso vacante almeno una volta l’anno e di cambiare possessore in 32 occasioni nei suoi ultimi tre anni di esistenza.
Infine, durante il PPV Survivor Series del 2001, Edge vince il match di unificazione contro Test (campione Intercontinentale) e mette fine alla lunga corsa – durata oltre due decadi – del misterioso US Title.
Intercontinental Title: dal Brasile all’Eldorado
Più giovane di pochi anni (rispetto allo US Title), ma ben più nobile è la storia del titolo secondario per eccellenza se si considera solo la WWE. L’inizio come per la corona di campione degli Stati Uniti è controverso in egual modo: sotto l’egida della NWA (ai tempi però controllata dalla WWF), Pat Patterson diventa il primo campione sconfiggendo Ted DiBiase nel giugno del 1979, conquistando così il North American Heavyweight Championship; tuttavia, a rendere ufficiale il regno è l’unificazione del già citato alloro con il South American Heavyweight Championship al termine di un torneo fittizio in cui lo stesso Patterson prevale ai danni di Johnny Rodz in quel di Rio De Janeiro.
Non senza misteri, il 1° settembre del 1979 Pat Patterson è ufficialmente il primo campione Intercontinentale. Il prestigio del suddetto titolo viene costruito intorno alla figura detentrice e ad una gestione impeccabile della WWF: vista la presa sul pubblico e l’importanza vitale di avere Hulk Hogan come unico indiscusso campione mondiale (e perciò volto della federazione), il titolo Intercontinentale diventa la cintura principale all’interno delle storyline con match al limite del leggendario e con esiti meno scontati di quelli il cui protagonista poteva essere lo stesso Hogan.
Se Tito Santana, Greg Valentine, Randy Savage e Honky Tonk Man sono considerati i pionieri (una volta abbandonata la nave NWA), è con la seconda vittoria di The Ultimate Warrior che la cintura ottiene il massimo del suo prestigio e diventa ufficialmente il lascia passare per diventare il futuro della federazione: a Wrestlemania VI, il guerriero sconfigge Hulk Hogan diventando doppio campione; per la prima volta il titolo secondario ottiene lo stesso status di quello principale, ciò fa scattare negli altri wrestler la consapevolezza di poter riuscire anche loro nell’intento.
Con l’avvento degli anni ’90, la cintura pone già le basi per due delle future faide più importanti nella storia della WWF: Bret Hart e Shawn Michaels, senza interrompere l’uno il regno dell’altro, diventano a distanza l’attrazione principe attorno al titolo Intercontinentale tra il 1991 e il 1994; lo stesso sia per Steve Austin e The Rock (nel mezzo anche la comparsa di Triple H) tra l’inizio del 1997 e l’estate del 1998, anticipando di qualche anno il loro duopolio sulla scena del titolo mondiale in piena Attitude Era. Una Eldorado per il titolo di mezzo, il quale dovrà affronterà un periodo di magra con l’inizio del nuovo millennio prima di ritornare ai fasti di un tempo lasciando gli spettatori incollati alla TV per seguirne gli sviluppi.
Stars & Stripes Smackdown
Con la divisione dei due roster e la grande presa del titolo Intercontinentale sul roster di RAW, la WWE decide di riesumare lo US Title da assegnare attraverso un torneo proprio come fu nel 1975. Eddie Guerrero ne diventa il primo possessore vincendo la finale contro Chris Benoit. Una presa di posizione importante della federazione quella di concedere la cintura ad uno dei volti più noti del brand blu, a testimonianza di come questa corona debba diventare un punto di slancio verso lidi più alti e non ricoprire il ruolo marginale che tutti si aspettano. Infatti pochi mesi dopo la perdita dello US Title, Eddie Guerrero affronterà e schienerà Brock Lesnar diventando campione WWE: la cintura a stelle e strisce non è più un contentino da relegare al mid-carding, ma la possibilità di ascendere per diventare il futuro numero uno del roster.
John Cena e Booker T danno lustro allo US Title e Smackdown propone il loro feud tra i piatti principali dello show, con i due contendenti ad oscurare parzialmente la scena del titolo massimo (comandata dallo strapotere di JBL) nella seconda metà del 2004 e conclusa con il Best of 5 Series vinta dal Doctor of Thuganomics.
Cena e il cinque volte campione WCW non sono nomi scelti casualmente: il wrestler originario di West Newbury, al termine del suo terzo stint con lo US Title, comincerà la sua ascesa come volto principale della federazione ponendo fine al regno di terrore di JBL; Booker manterrà la presa sullo US Title ancora per un anno circa, prima di portare a casa il torneo del King of the Ring e conquistare il World Heavyweight Championship, trasformandosi nell’attrazione primaria del brand.
Dopo una ricerca estenuante sul più meritevole di portare avanti il testimone (e prima del passaggio del titolo di roster in roster con le successive draft lottery), la scelta cade sugli ultimi due baluardi di Smackdown, Chris Benoit ed MVP, in grado di elevare lo status dello US Title con il loro mix di tecnica e presenza scenica sul ring occupando la scena dalla fine del 2006 (il primo) alla metà del 2008 (il secondo), prima della scomparsa di Benoit e allo spostamento dello US Title nella nuova ECW.
Un trampolino verso il titolo massimo?
Il match tra Triple H e Kane a No Mercy 2002 sancisce la sparizione (temporanea) del titolo Intercontinentale. La scena è tutta dedicata al titolo mondiale detenuto proprio dal genero di Vince McMahon, poiché nei mesi successivi la WWE proporrà il primo Elimination Chamber di sempre a Survivor Series e la fine (anche questa temporanea) dell’accesa rivalità tra Triple H e Shawn Michaels con un sanguinolento 3 Stages of Hell in quel di Armageddon.
Giunto quasi a metà del 2003, uno degli storici campioni intercontinentali come Steve Austin – in qualità di Co-General Manager – decide di riattivare il titolo che d’ora in avanti sarà lo sfondo di numerose battaglie in una escalation di gimmick match (prevalentemente Steel Cage e Ladder); nonostante i possessori siano tra i migliori performer della scena mid-upper carding, la WWE ha bisogno di un volto nuovo per riportare in auge il titolo e dargli il significato che aveva tra la fine degli anni ’80 e l’intero decennio successivo: la rampa di lancio verso il titolo di campione mondiale dei pesi massimi.
La scelta ricade su Randy Orton, il primo dopo The Rock (nel dicembre 1997) a detenere la cintura per oltre 200 giorni di regno ed il primo dopo parecchi anni ad intraprendere la strada verso il World Heavyweight Championship a seguito di un regno da campione secondario.
Il successo del Legend Killer sembra spianare la strada ai successivi padroni dell’alloro, ma ad esclusione di Edge (sfruttando però il Money In The Bank) e Jeff Hardy, il titolo Intercontinentale non porta alle fortune sperate: Shelton Benjamin verrà ricordato come uno dei miglior campioni di sempre, ma non materiale adatto per stare al vertice della piramide; Rob Van Dam grazie al Money In The Bank diventerà campione WWE, saranno però i suoi comportamenti extra-ring a privarlo anzitempo di una scena conquistata dopo anni di sudore e sacrifici; gli altri due nomi più accreditati – Johnny Nitro e Umaga – verranno sepolti sotto l’onnipotenza di John Cena e traghettati su altri lidi.
Negli anni successivi, con il ritorno del WWE Draft e l’indecisione su quale brand debba essere il padrone della cintura più prestigiosa dopo il titolo mondiale, l’alloro Intercontinentale perde strada facendo sempre più importanza sebbene venga messo nelle mani di nuovi arrivi di estremo talento o di grandi performer a cui però non viene concesso il giusto spazio.
US Title e Intercontinental Title al bivio
Entrando nella seconda metà del 2022 con la storyline della Bloodline a farla da padrona in entrambi i roster – poiché porta con sé i due titoli principali e ha portato all’unificazione anche dei titoli di coppia – l’Intercontinental Title e lo US Title sono diventate poco più di una semplice comparsa all’interno dell’universo WWE. Il cameo da loro rappresentato però non è quello dell’attore famoso nella nostra sitcom preferita, ma un semplice placebo per chi non è protagonista settimanalmente del Main Event; la pandemia non ha certo aiutato lo sviluppo continuo di nuove storie, la scelta però di costruire regni longevi per i campioni del Covid (tutti coloro che hanno detenuto la cintura dal 2020 ad oggi) non è ponderata sulla base di chissà quali meriti, ma semplicemente dettata dallo scorrere del tempo senza aver trovato una reale soluzione sulla questione.
I regni per antonomasia che hanno portato quasi al totale declino dei due titoli secondari – avvenuto per giunta nello stesso periodo – sono quelli di Shinsuke Nakamura (IC Title) e Damian Priest (US Title): entrambi hanno perso l’alloro a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro senza lasciare traccia memorabile del loro cammino. Se oggi Priest può ritenersi parte di una delle storyline secondarie più importanti lo deve alla scelta di Edge di averlo voluto con sé nel Judgment Day; dall’altro lato Nakamura è stato nuovamente sedotto e abbandonato, presentato come possibile nuova minaccia al regno di Roman Reigns finendo inesorabilmente dimenticato dopo poco più di una settimana.
Arrivati non troppo lontani da 200 regni differenti ciascuno per entrambe le cinture (182 regni per il Titolo Intercontinentale e 174 regni per lo US Title), la scelta di cancellare i personaggi secondari dalla trama principale del film a cui stiamo assistendo da ormai quasi 50 anni sembra inevitabile.
Oggi ricordiamo grandi nomi del passato, pionieri della disciplina in grado di elevare lo status di queste corone a vere e proprie istituzioni; tra 50 anni – ammesso e non concesso ci sia ancora una disciplina da raccontare e guardare come fossimo spettatori davanti ad un grande schermo – saremo ancora in grado di ripercorrere questi anni senza doverli ricordare come il più grosso buco nella trama del nostro racconto?
Fino ad allora: the show must go on.
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