La WWE sta davvero diventando la WCW?
Questa domanda riecheggia da anni nella mente di molti appassionati che rivedono nell’evidente calo della federazione di Stamford quello avuto a suo tempo dalla rivale storica, la WCW.
WCW, the rise and the fall
Accenno storico doveroso per l’ex federazione di Atlanta, nata da un importante investimento di Ted Turner si è da subito proposta come l’alternativa ad una WWE che tra fine anni 80\inizio 90 dominava il settore. Grazie al contratto televisivo su TNT Network lo storico programma Monday Nitro riuscì ad andare in guerra aperta il lunedì sera con lo show rivale, Monday Night RAW.
Un roster di base importante con a capo Sting e Ric Flair, arricchito negli anni grazie ad uno strapotere economico capace di strappare alla concorrente i nomi più blasonati del business: tra i tanti ricordiamo Macho Man Randy Savage, The Ultimate Warrior, Bret Hart, Scott Hall, Kevin Nash e, su tutti, il re del Pro-Wrestling americano Hulk Hogan.
L’eccellente lavoro sui cruiser, la costruzione di mid carder eccellenti, nonchè futuri main eventer, quali Eddie Guerrero, Chris Jericho, Rey Mysterio e Chris Benoit, storyline avvincenti, il turn heel di Hogan e l’nWo, il crash Goldberg e tanto altro. Ma la domanda è una allora, cosa ha portato al fallimento la WCW?
Due cause principalmente: la prima sono errori propri, alcuni li analizzeremo e confronteremo a breve, la seconda è dovuta all’eccellente lavoro della federazione di Stamford, grazie alla nascita della sua famosa Attitude Era.
WWE o AEW?
Come abbiamo visto la defunta federazione di Ted Turner, parafrasando, ha fatto anche cose buone, tanto che il suo immaginario nei fan è ancora molto radicato; in tanti ne sono ancora tifosi, forse mossi da nostalgia o da un wrestling diverso ma che sapeva coinvolgere di più una certa cerchia di fan. Non c’è da sorprendersi dunque che la nascita della All Elite Wrestling sia stata da molti considerata la venuta di una nuova WCW.
La AEW non è però la nuova WCW, chiariamolo subito. La presenza sullo stesso network, TNT, più tutta una serie di rimandi a PPV storici o feels molto anni 90 non fanno di questa nuova federazione la sua nuova incarnazione. La AEW, pur non mancando di strizzare l’occhio a quel tipo di fan, propone un mix innovativo di wrestling main stream settimanale americano misto ad un’attenzione e ad un privilegio al lottato di stampo marcatamente orientale, e non c’è da sorprendersi di questo, lo zoccolo duro viene da quel mondo.
Ogni paragone con la WCW è un paragone votato ad un giudizio positivo, di sensazioni, di ricordi, di emozioni, di chi accende il televisore e vede il wrestling su TNT; non può non ricordarlo, ed è senza dubbio il suo erede spirituale, ma i prodotti proposti sono diversi.
La WWE ha vinto la guerra con la sua rivale nei primi del 2000, sa bene quali sono gli errori che hanno fatto cadere il suo avversario, ma ciò nonostante insiste e persiste in alcune scelte che faticano ad essere comprese e accettate.
Ci sarebbero innanzitutto dei parallelismi da fare, sulla confusione del settore creativo per esempio, come Vince che rifiuta 28 segmenti su 32; o sull’esodo di alcuni talenti, come fu all’epoca per i vari Jericho, Guerrero, The Big Show, Benoit adesso abbiamo la fuga dei defunti Revival e Dean Ambrose nelle ben più felici versioni degli FTR e Jon Moxley, due perdite incredibili visto il loro livello, che sarebbe offensivo definire “scarti”. O sul continuo ricorrere a vecchie glorie invece di costruire il futuro, puntando sempre sugli stessi nomi del passato.
La nota dolente però è il drastico calo dei ratings, e come fu per la WCW all’epoca anche la WWE si è rigettata in uno stato confusionale tale da colpirsi da sola.
Nel suo momento di crisi massima, con l’approdo del nuovo millennio, l’ex federazione di Atlanta entrò nella sua fase più complessa, fase in cui il titolo massimo perse totalmente valore passando di mano oltre 20 volte, anno in cui a vincerlo furono il booker Vince Russo o l’attore David Arquette, il tutto per di più condito da stotyline al limite del ridicolo.
Gimmick improponibili come Al Green che si comportava come un cane, match illogici come il Viagra on a pole Match, o la sfida con i Monster Truck, stipulazioni incredibili che a tratti ricordano le follie proposte dalla compagnia di Vince, come il recente Eye for an Eye Match, concettualmente disastroso come proposta d’incontro, senza contare la continua diffusione di match cinematografici, solo in parte giustificati dal periodo corrente (ne parlo meglio qui dell’argomento). Una continua ricerca di Non-Wrestling, di una federazione che ha la scritta Wrestling nel nome, dimostrata ampiamente anche dall’ultima idea ossia RAW Underground.
La WWE è la nuova WCW?
La domanda finale, con una risposta tutt’altro che banale. Dalle considerazioni fatte sembrerebbe evidente la risposta, ma in realtà, nonostante una brutta e preoccupante strada intrapresa, la federazione di Stamford è ben lontana dall’essere la nuova WCW del 2000.
La compagnia di McMahon nonostante i tanti problemi, gode ancora di una buona salute economica, è trasmessa in oltre 150 paesi e ha stretto alleanze commerciali con colossi come l’Arabia Saudita, o contratti televisivi ricchissimi quale quello con la FOX.
Gli ascolti bassi, l’insofferenza del pubblico più legato al Wrestling piuttosto che alla favoletta dell’Entertainment, possono al massimo rappresentare dei campanelli d’allarme, spesso ascoltati ma mai veramente seguiti.
La WWE, come detto, insiste e persiste nelle sue scelte, crogiolata nella sua posizione di dominio, ma la storia è tiranna, insegna che cullarsi non è mai un bene, soprattutto quando hai una concorrente che brucia le tappe, che è già arrivata a trasmettere in Europa e nel nostro paese in particolare. Ricordate le due cause della morte della WCW? Errori propri e bravura degli altri. Cicli e ricicli storici, che potrebbero, a distanza di molti anni, essere fatali.
Il passato è tiranno, ma il futuro potrebbe essere spietato.