Bentrovati fan di The Shield Of Wrestling e cari lettori che passate per la prima volta da queste parti. Abbiamo superato una settimana piuttosto turbolenta e molto triste, che ci ha portato via due ragazzi che amavano la nostra stessa disciplina. Il destino ha voluto che nella stessa settimana sia anche capitato l’evento simbolo della AEW, Double Or Nothing, giunto alla sua seconda edizione.
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L’evento svoltosi a Jacksonville è stato godibile ed ha saputo intrattenere i telespettatori con diversi incontri memorabili come i due Main Event, l’incontro tra Jon Moxley e Brodie Lee e lo Stadium, Stampede, e la sorpresa offerta da MJF e Jungle Boy. Possiamo dire che, a parte poche eccezioni, abbiamo visto la qualità di uno show distribuita in tutti i suoi match e questo è un particolare, che sembra scontato ma, che molte volte, viene trascurato. Spesso, specialmente in casa WWE, siamo abituati a vedere un PPV al mese per il quale si tende a costruire una card che abbia uno o due match veramente interessanti ed il resto a fare da contorno. Molte volte la qualità dei wrestler salva la baracca e fa si che anche altri incontri, non proprio costruiti egregiamente, si sviluppino in maniera buona ma quando questo non accade ecco che si crea la classica immagine della torta di sterco, rappresentata dal PPV, adornata con una o due fragoline, che sono il Main Event e magari un altro incontro uscito bene. La federazione di Stamford di esempi così eclatanti ce n’è ha concessi parecchi, ricordiamo Hell in a Cell 2019, nel quale la fragolina non fu neppure il disastroso Main Event ma l’incontro nella gabbia tra Sasha Banks e Becky Lynch, la storia sarà pure peggiorata ma sono sicuro che molti di voi ricorderanno New Year’s Revolution 2005, che non a caso per tanti è noto solo come “l’incontro dell’elimination Chamber”. Questi sono solo due esempi sparsi nel tempo che però hanno un unico comune denominatore la qualità dei match distribuita in maniera sbagliata. Per qualità intendo sia ciò che gli atleti realizzano sul ring sia la costruzione stessa della storia che porta all’incontro. Tornando al punto di partenza, abbiamo iniziato parlando di Double Or Nothing, un evento che merita di essere visto ma che non è l’esempio perfetto di come si costruisce un PPV perché seppur godibile e se è vero che c’è stata l’attenuante del Coronavirus, va detto che in 3 mesi di tempo mi aspetto un evento che mi offra di più del buon show visto. Se è vero che ci siam divertiti e che le forze in campo sono state gestite bene, è anche vero che la categoria di coppia ha subito un’involuzione per quanto riguarda la competizione e che quella femminile abbia fatto solo un timido mezzo passo avanti. Non ho trovato necessario l’inserimento di un titolo secondario con le così poche ore di show offerte piuttosto avrei preferito si lavorasse meglio sulle due pecche sopracitate. Ovviamente se paragoniamo Double Or Nothing alla metà degli show WWE, vince a mani basse ma penso che mai come in questo caso la verità stia nel mezzo: non servono per forza lunghi periodi per preparare un PPV ma nemmeno corti come ci ha abituato Vince McMahon con RAW e SmackDown, si potrebbero fare dei PPV discreti in due mesi di tempo con una card non troppo lunga ed una qualità che si distribuisce per tutto lo show invece che creare card chilometriche con match di contorno o faide senza ne capo ne coda che bloccano lo scorrimento dell’evento, creando un effetto soporifero che rovina gli incontri immediatamente successivi.
Questo ragionamento sulla costruzione degli show ed il paragone tra AEW e Main Roster WWE porta ad un’unica conclusione; anche se non sempre, le due federazioni stanno cercando di fare le cose in maniera diversa ma quando entrambe arrivano alla prova del PPV commettono degli errori totalmente opposti ma ugualmente dannosi.