Universal Championship, una brutta storia d’amore, perché noi quel titolo abbiamo anche provato a farcelo piacere.
A quasi quattro anni dal suo debutto, bisogna tristemente constatare che sono sicuramente più i momenti da dimenticare che non quelli da ricordare legati a questa cintura. Da amante deluso provo a raccontare questa love story mai sbocciata.
Odio a prima vista
Come nelle più belle e romantiche storie d’amore il primo incontro è indelebile nei cuori e nelle menti; quello col titolo universale lo è sicuramente, ma per i motivi sbagliati.
A seguito della rinnovata Brand Extension del 2016, RAW, mancante del campione massimo, ossia l’allora WWE Champion Dean Ambrose, si ritrova dunque senza un suo uomo da battere nel roster. L’esigenza che venisse presto reintrodotta una cintura mondiale era lampante, e l’annuncio non tardò ad arrivare.
Esclusa in anticipo la reintroduzione della mai dimenticata Big Gold, venne così annunciato l’arrivo del nuovo Universal Championship, che già dal nome non promise niente di buono. A Summerslam vi fu l’introduzione della cintura, accolta da sonori fischi, in quanto il design era identico al WWE Championship, solo colorato di un orrendo rosso.
Quanto di più generico e sbrigativo si potesse creare, una totale delusione essendo il massimo premio di RAW. Quando si dice amore a prima vista, beh questo non fu il caso fidatevi.
All’inizio fu amore
Noi però non siamo materialisti e crediamo nell’amore vero, così provammo ad innamorarci davvero di questa rossa cintura, nonostante il suo non piacevole aspetto.
Ma è un amore di quelli che illudono perché, bruttezza del titolo a parte, il campione inaugurale fu uno da farci perdere la testa, l’uomo che non ti aspetti, The Extraordinary Man, Finn Balor che battè Seth Rollins in quel di Summerslam. Una ventata di novità accolta con gioia dai suoi fan più datati, affascinati dal principe demone fin dalle sue scorribande nel Sol Levante, fino ai suoi fan più moderni, che lo hanno conosciuto solo grazie al rinnovato NXT.
Destino infausto, ma ci torneremo, purtroppo Balor deve già rinunciare al titolo, ma tempo otto giorni e la WWE, proseguendo sul solco della novità, evitando dunque le comode soluzioni Seth Rollins e Roman Reings, scelse Kevin Owens, che approfittò dell’aiuto di Triple H, per laurearsi campione.
Un altro prodotto nato e cresciuto altrove e svezzato al pubblico WWE grazie ad NXT. La scelta si rivelò azzeccata, Kevin riprese un abusato stereotipo da campione heel, ma lo interpretò magistralmente in coppia con un sempre divino Chris Jericho.
I due trainarono lo show rosso fino alla road to Wrestlemania inoltrata, dove la WWE rovinò un eccellente lavoro di costruzione, per generare il terzo capitolo in 13 anni del blockbuster Goldberg vs Brock Lesnar.
Da Man, l’illusione di un amore
E’ qui che iniziammo a capire che il titolo universale non ci amava anzi ci aveva forse solo illuso, poichè la rossa finì tra le grinfie di Bill Goldberg, l’irreprensibile Bill Goldberg, che fa ancora il wrestler a quanto pare.
E fu subito 1998 quando Bill abbattè il malcapitato Owens per tornare in cima al tetto della federazione, vincendo l’alloro massimo, sicuramente impensabile fino a qualche mese prima e assolutamente non necessario.
Ma se Goldberg ha il vizio di distruggere quanto buono si è fatto in precedenza, quello che fece a Kevin Owens risultò uno scherzetto innocente rispetto a quello fatto a The Fiend Bray Wyatt nel tragico 2020.
Uno scempio, saggiamente messo in scena in terra araba, dove Goldberg in pochi minuti annientò il personaggio migliore degli ultimi anni WWE, mandando all’aria ogni possibile mistero legato alla sua imbattibilità. Solo un genio come Bray poteva tirarsi fuori da questo distastro nucleare.
Occhio non vede, cuore non duole
Non demordemmo, stavamo provando davvero ad innamorarci, ma c’era bisogno della classica pausa di riflessione, dopo aver visto Goldberg campione; e chi meglio di Brock Lesnar poté aiutarci in questo. Il titolo lo vedemmo a tratti, col risultato di creare colpevoli fasi di assenteismo, alternate a qualche match qua e la.
Il regno di Brock fu un regno sicuramente vintage, ma non siamo più negli anni 70, i campioni nel 2020 dovrebbero apparire e combattere sempre.
I primi 503 giorni di regno terminarono a Summerslam 2018 dopo una grande rincorsa da parte di Roman Reings, che al secondo tentativo, dopo l’assalto fallito a Wrestlemania, sconfisse la bestia, facendo tornare il titolo a RAW.
La sfortuna ancora una volta incise, e The Beast tornò rapidamente campione per mantenere il titolo fino allo Showcase degli Immortali, perdendo contro un rinnovato e amatissimo Seth Rollins.
Il tradimento
L’assenza di Brock permise a Rollins di diventare il mattatore dello show rosso, producendo un eccellente regno di campione intercontinentale.
Il 2019 si aprì con la vittoria del Royal Rumble Match da parte dell’Architetto, al quale seguì poi la detronizzazione della Bestia. Il regno di Rollins è caratterizzato da una continua delusione e crescente perdita di interesse, e soprattutto speranza, nei suoi confronti. La perdita del titolo, tramite incasso di Brock, risultò un patetico tentativo di risollevare il Beast Slayer da un oblio senza via di fuga.
Quello che fece più male del regno di Rollins però fu l’Hell in a Cell Match con l’astro nascente The Fiend, il momento di massimo tradimento da parte del titolo universale.
Un incontro terminato in no contest, tra i fischi assordanti dell’intera arena, furibonda per lo scempio a cui assistette
La speranza è l’ultima a morire
Dopo il disastro nella gabbia, The Fiend diventò, colpevolmente tardi, comunque campione e passò a SmackDown portandosi con sé il titolo, trasformato per l’occasione da rosso a blu, in un tripudio di fantasia.
Il regno di Bray ci ridiede la voglia di interessarci a quel titolo, complice la buonissima rivalità con Daniel Bryan, condita da cambi di atteggiamento, di look e dalla presenza di un presunto punto debole dell’imbattibile personaggio del Maligno.
Daniel non fu il fortunato a trovare il tallone d’Achille del Fiend a differenza del più ben più privilegiato Goldberg, che come già detto in precedenza ebbe l’onore di defraudare Bray dell’alloro.
Questa volta ci avevamo davvero creduto, avevamo davvero creduto che il titolo universale ci avrebbe fatto innamorare, e invece ci ha illuso ancora, per poi pugnalarci, per la seconda volta alla stessa maniera.
La fortuna non ha aiutato lo Universal Championship
Che il titolo fosse sfortunato lo si era capito in partenza: Balor vincitore inaugurale designato cedette lo scettro dopo solo un giorno, e pensate solo a come sarebbe potuta essere la carriera del fu Prince Devitt senza quell’infortunio.
E dopo aver interrotto gli interminabili, fatidici 503 giorni di regno di Brock, Roman dopo appena due mesi, dovette abbandonare il titolo per battere un qualcosa di sicuramente più importante, e siamo felici che sia ancora qui a poterlo urlare con gioia.
Ma ancora quest’anno, per colpa della pandemia, Reings, prossimo campione prescelto, ha dovuto rinunciare alla sfida delle Spear per evitare complicazioni di salute, una scelta quanto mai comprensibile e giustificabile, dalla quale scaturì Braun Strowman campione.
Tornando più seri, le scelte di booking pessime miste alla sfortuna non hanno aiutato la storia di questa cintura, un titolo che fatica ad entrare nel cuore dei fan per tanti motivi.
Ma il tempo di costruire grandi momenti, entusiasmanti spot, meravigliosi incontri, sentite rivalità e indimenticabili vittorie c’è ancora.
Si può ancora rimediare, il materiale, come dico sempre, non manca.
Siamo amanti delusi, quello si, ma abbiamo voglia di innamoraci di te caro Universal Championship, sta a te non deluderci ancora.